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venerdì 6 settembre 2013

Adesso basta!




Mercoledì mattina, partenza alle 4,30, direzione Bouar (250 km). Qui nel pomeriggio ci incontriamo come Caritas e Giustizia e Pace perché c’è un grosso problema:  dal 16 agosto  a Bohong ci sono stati degli scontri, che hanno causato almeno una trentina di morti, e la distruzione di oltre 2.000 case, bruciate per impedire alla popolazione di restare. Ascoltiamo le testimonianze di un sacerdote, l’Abbé Michel, che, come le suore, ha dovuto fuggire. Parte della popolazione è fuggita su Bouar (80 km) e altri sono rimasti nei campi intorno a Bohong.
In serata arriva l’Arcivescovo di Bangui, presidente della Conferenza Episcopale, e presidente della Caritas. La sua presenza è molto importante: per l’incoraggiamento e il sollievo, ma anche come denuncia di quello che sta succedendo.
Giovedì mattina partenza alle 6. A Forte, a 20 km da Bohong, inizia la zona rossa: centinaia di case bruciate. Poi c’è Ndakaya e arriviamo infine a Bohong. Mentre aspetto che arrivi tutta la delegazione, do un’occhiata in giro. Ci sono ancora scheletri e teschi che giacciono abbandonati…
Con l’arrivo dell’Arcivescovo la folla aumenta. Ci ritroviamo in chiesa, insieme anche alla comunità protestante (che qui ha un piccolo ospedale, saccheggiato anche quello). La chiesetta è strapiena. Iniziamo la celebrazione della Messa, e la partecipazione è alta.
Subito dopo lasciamo spazio alla gente, che parla con coraggio. È emozionante sentire racconti di donne che hanno perso il marito, di papà che hanno visto uccidere il proprio figlio. C’è dolore, ma non rabbia. Uno di loro dice: “Ma non siamo Centrafricani anche noi?”. Un altro dice: “siamo schiavi”…
Migliaia di case bruciate. Tutto quello che avevano è andato perso… Cosa fare????
Quello che preoccupa è la frattura che si è creata tra la comunità musulmana e gli altri: nessuna casa di musulmani è stata bruciata… Inoltre alcuni giovani del posto hanno indicato ai ribelli le case di uno o dell’altro, il dispensario, l’ospedale…
Ci vorrà molto tempo per ricostruire, ma molto più tempo per ricreare una convivenza serena…
Finita la riunione, io resto in chiesa con i capi villaggio per organizzare la raccolta dei dati sulle case bruciate e sulle vittime, in modo da poter intervenire rapidamente. L’arcivescovo e la delegazione parte in Comune. Li raggiungo dopo, quando la riunione è già iniziata… Tantissima gente. Al mio arrivo sento parlare in arabo, e sotto voce (in modo che mi sentano nel raggio di almeno 30 metri) chiedo se siamo in Centrafrica o dove… Chi parla è il capo dei ribelli. L’interprete traduce quello che ha detto: “qui è tutto tranquillo, non abbiamo fatto del male a nessuno, non è successo niente”…..
Il sindaco dice che devono ritornare al villaggio, che quello che è passato è passato ecc…. Il Vicario della diocesi, l’Abbé Mirek, risponde dicendo: tornare dove? Tutte le case sono state bruciate!!! E qui la gente applaude forte.
Dopo la riunione andiamo a vedere  l’ospedale Luterano. Qui c’è la maternità. Anche qui, i ribelli sono entrati sparando (in un ospedale!), e rubato medicine, microscopio, pannelli solari, moto, il motore di una macchina…
Riprendiamo la strada con un grosso dolore. Quanti Bohong ci sono? Quanti villaggi hanno subito la stessa sorte? E quando finirà tutto questo?
















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